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SANTA CROCE CAMERINA
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Le origini di Santa Croce Camerina stanno in Camarina e nei villaggi delle Caucane. Fondata nel 598 a.C. come colonia di popolamento e “punta avanzata” di Siracusa in un’area ricca di villaggi siculi, Camarina fu crocevia di molte rotte mediterranee e centro di irradiazione della civiltà greca nel territorio Ibleo. Tentò di affermare la propria supremazia economica e militare nei territori contermini ma senza molta fortuna. Fu infatti presa in anni diversi dai siracusani, poi dai gelesi, dai Cartaginesi, infine dai Mamertini e varie volte distrutta o spopolata.
Risorse però sempre e tornò ad essere popolata ed attiva Nel 25S a C. tentò ancora una sortita, ma venne devastata dal console romano L. Attilio Calatino, e non risorse più.

Dopo tale evento tragico parte dei superstiti cercarono rifugio nel territorio dell’odierna Santa Croce. e più in particolare nelle località Muraglia, Cinta San Martino, Mirio, Pirrera, Punta Braccetto, Vigna di mare, Casuzze. In quest’area dai tempi preistorici, come hanno confermato gli scavi compiuti in anni non lontani e i rinvenimenti di tombe, basamenti di capanne, fornaci, cocci, esistevano minuscoli insediamenti di pastori, pescatori, artigiani.

Per effetto dell’immigrazione, discretamente consistente, essi risultarono positivamente impinguati e vivacizzati, costituendo l’articolazione demografica, urbanistica ed economica delle Kaucane, casali sparsi che ebbero una modesta rilevanza storica tra il III sec. a. C. e il VI sec. d. C.
In età cristiana la plaga registrò una discreta attività religiosa, attestata da ruderi di chiesette e necropoli tuttora esistenti tra l’odierna Santa Croce e il mare (Pirrera e Anticaglie), e nel 556 offrì al bizantino Belisario degli ancoraggi da cui muovere con la flotta per snidare i Vandali da Malta. Negli anni della dominazione bizantina le Caucane non ebbero vita serena; furono, infatti. vittime delle incursioni dei pirati, che le devitalizzarono sempre più sino a privarle della originaria capacità di richiamo. Sotto la dominazione araba il territorio registrò un piccolo risveglio, soprattutto sul piano economico, per la cura rivolta alle attività agricole in luoghi che per la prima volta vennero valorizzati ed ebbero un nome; Rascarami (Capo Scalambri), Ain keseb (Punta Secca), Favara, Ain-amnis (Donnanna), Ain-zufer (Sughero).

Conobbe poi una nuova de- cadenza, protrattasi per due secoli, nel corso dei quali, deserto di uomini e di attività, si coprì in parte di fitta boscaglia. Rientrò nella storia solo quando, nel 1091, dagli ancoraggi sulla costa Ruggero il Normanno, cosi come già Belisario nel 553, mosse con la flotta, questa volta per snidare i musulmani dall’arcipelago maltese. Successivamente per qualche tempo venne compreso tra i beni della Corona ed ebbe vita oscura. Poi fece parte della Contea di Ragusa e costituì il feudo di Rascaran ( o Rosacambra), che da Silvestro, pronipote di Ruggero, signore di Ragusa e della Marsica, venne donato nel 1140 al convento dei S. S. Lorenzo e Filippo di Scicli, suffraganeo della chiesa di S. Maria la Latina di Gerusalemme. Sul versante nord del piano del Mirio e di una sorgente attigua (Favara per i saraceni), presso un antico castrum e un tempio dove si venerava Sant’Elena con la croce, divenne più consistente il casale “Sanctae Crucis”, nel quale presto sorsero una chiesa dedicata a Maria Vergine e, successivamente, un convento di frati carmelitani con annessa chiesetta.
Mentre nell’entroterra ibleo nasceva e cominciava a svilupparsi la Contea di Modica, le terre di Rosacambra, ai suoi margini, venivano date in affittio a nobili di Ragusa e Scicli, che sfruttarono le aree coltivabili e i pascoli. Così fece il convento di Scicli, così dopo la sua chiusura, nel 1392, continuò a fare il convento di S. Filippo d’Argirò, rappresentante in Sicilia della Chiesa di S. Maria la Latina.

Nel 1470 le terre di Rosacambra e il casale di Santa Croce furono ceduti in enfiteusi perpetua al nobile modicano Pietro Celestri, che ne divenne barone e si preoccupò del suo sviluppo. Sul poggio ad est della fontana si sviluppò allora una edilizia semplice e povera, connessa alle attività agricole e artigianali; entro e fuori dell’abitato, intersecato da strade a fondo naturale, sorsero alcune mandre: più a sud, sul Capo Scarem, vennero costruiti una torre di avvistamento e difesa, una chiesetta, magazzini, locali per la salagione del pesce e fornaci.

Per la ripresa, sia pure modesta, della vita produttiva articolata nel territorio, sembrava che fosserao tornate a vivere le Kaukane. Il popolamento del vasto feudo fu, infatti, discreto sicchè nel 1500 si contarono 500 terrazzani. Nei successivi decenni, però, la divisione del territorio tra i Celestri e i Bellomo di Siracusa, una certa incuria dei feudatari, la malaria, diffusissima nelle aree acquitrinose, e le incursioni piratesche, divenute sermpre più frequenti e rovinose, costrinsero numerosi terrazzani ad abbandonare la zona, e il casale di S. Croce e le terre dei contermini attraversarono il nuovo periodo di decadenza.

Sul finire del XVI sec., nel quadro della “colonizzazione interna” voluta dai feudatari e finalizzata al rilancio della produzione granaria nell’isola, ebbe inizio la rinascita della terra di S. Croce. Un discendente del volenteroso barone, Giambattista Il Celestri e Chirco, tornato ad essere signore unico del territorio di Santa Croce e Scalambri, volle ridargli vita e nel 1596 ottenne dal Presidente del Regno la “licentia habitandi et rehedificandi” il casale, che venne riconfermata nel 1598 da Filippo III, re di Spagna, Napoli e Sicilia, e resa esecutiva il 29 gennaio 1599.
Divenuto marchese assieme al figlio Pietro, di Santa Croce nel 1600, Giambattista Celestri s’impegnò per lo sviluppo del grande feudo. Richiamò infatti dai comuni viciniori, e più in particolare da Scicli e Modica, nuovi abitanti, in gran parte umili contadini e artigiani, assicurando loro accettabili condizioni di lavoro e di residenza, nomino il Castellano, il Segreto e il Magistrato, affidò la chiesa ad un beneficiale. Per proteggere il territorio e il casale dai corsari, Pietro IV, Giambattista III e Pietro V, successori di Giambattista II, provvidero a restaurare la torre di Scalambri e a costruire la torre di Mezzo, mentre più ad ovest sorgeva la torre del Braccello. Ciò nonostante, lo sviluppo di Santa Croce fu molto lento.

La malaria e le pestilenze continuavano ad infierire, la povertà era grande, le incursioni dei pirati non diminuivano, sicchè numerosi coloni, scoraggiati, si restituirono ai luoghi di provenienza, mentre i monaci abbandonavano il vecchio convento. Nel 1636 i santacrocesi erano 438, ma nel 1651 risultarono 399 e nel 1682 appena 150, dediti alla coltivazione dei campi e all’allevamento del bestiame e viventi in case di architettura estremamente povera e disadorna, sparse senza un preciso ordine sul poggio ad est della fonte Paradiso. Dopo, il terremoto del 1693, che sconvolse il Val di Noto, e in particolare, nella contea di Modica, alcune città, tra cui la stessa Modica, Ragusa e Scicli, ma sfiorò appena Santa Croce, il ritmo di crescita della “terra” o “stato” che i Celestri avevano rifondato fu più rapido.

Per l’afflusso di numerosi profughi nel borgo, sorsero e si distribuirono a scacchiera nuove case terrane e bagli, intervallati qua e la dalle prime case palazzate; la chiesa madre, dedicata ora alla “esaltazione della croce”, venne aiutata con nuovi benefici e si garantì la festa della patrona S. Rosalia. Nel 1713 lo “Stato di Santa Croce” contava già 921 abitanti (e 260 case), saliti a 1398 nel 1761, a 2093 nel 1798.

Le attività economiche erano più articolate ed estese, anche per la concessione in enfiteusi di numerasi appezzamenti di terra, variamente consistenti. in cui i Vitale, i Rinzivillo, gli Scattarelli, i Fiorilla, Mauro, i Riera ecc. facevano nascere masserie e caseggiati rurali e introducevano nuove colture.

Uscita dalla dipendenza feudale e nel 1819 divenuto libero comune con un territorio di Ha. 4368,48 e 2207 abitanti, amministrati da un Decurionato, Santa Croce conobbe un discreto sviluppo, facilitato dalle prime strade intercomunali e di alcune trazzere, ed espresso, tra l’altro delle prime scuole e dai primi servizi pubblici nei settori dell’igiene e della sanità, oltre che dai più frequenti rapporti coi comuni vicinori.

Nel 1821 e più ampiamente nel ’48, per l’impegno di una borghesia in crescita nella quale primeggiavano i Vitale, i Rinzivillo e i Ciarcià, partecipò al movimento liberale antiborbonico, inserendosi più attivamente nella vita isolana. Cessato il regime borbonico, il comune entrò nel’Italia unita dandosi la nuova denominazione di Santa Croce Camerina per marcare il legame che attraverso i secoli lo univa all’antica città. Apparteneva ora alla provincia di Siracusa e aveva 3000 abitanti, amministrati da un consiglio Comunale, in un territorio di 4048 ettari. Collegato coi comuni viciniori da nuove strade carrabili, Santa Croce si sviluppò notevolmente soprattutto negli anni Settanta e di un piccolo e medio imprenditorato agricolo intelligente e attivo e di braccianti e artigiani operosi, che diedero un forte impulso all’economia, estendendo a nuove aree le colture industriali (agrumi, vite, olivo, canapa) in aggiunta a quelle tradizionali, e assicurando un più vasto richiamo alle fiere periodiche.

L’abitato urbano si estese ulteriormente definendo i quartieri Castello, Belpiano, Sangiacomo e Fontana, e si costruirono le prime abitazioni estive a Punta Secca. II paese ebbe il servizio postale e quello telegrafico, la pubblica illuminazione nelle strade principali, nuove classi di scuola primaria.

La Chiesa Madre. dal 1863 dedicata a S. Giovanni Battista, e la Chiesetta del Carmelo (costruita a ricordo del vecchio convento) furono curate da numerosi preti. Si consolidarono alcune feste e tradizioni locali in onore di S. Giuseppe (con le cene) e Santa Rosalia e del Corpus Domini (con gli altarini). Il territorio comunale non aveva più sufficiente capacità di assorbimento della manodopera locale in crescita, sicchè si dovette registrare un rilevante flusso migratorio verso le Americhe (USA e Argentina), e gli abitanti, che nei 1881 erano 5057. risultarono 6227 nel 1901, 6481 nel 192l Contrasti di famiglie, visioni diverse dei probiemi locali, quindi le condizioni di vita ancora difficili per il ceto popolare giustificarono inizialmente le lotte di parte, che gradualmente rientrarono nelle lotte più generali tra forze opposte a livello nazionale. Così dopo vari decenni di regime liberale e di contrapposizione tra “bianchi” e “neri”, progressisti e moderati, si passò al ventennio fascista e alla dittatura.

Sorta nel 1927 la nuova provincia di Ragusa, Santa Croce ne fece parte con un territorio di Ha 4076 e 6353 abitanti Negli anni Trenta il comune si dotò di rete idrica ed elettrica, e registrò un certo rinnovamento delle attività economiche e commerciali, che venne interrotto dalla guerra 1940-45.
L’inizio del nuovo conflitto portò alla militarizzazione del territorio ibleo, che ebbe manifestazioni concrete anche a Santa Croce. La cittadina, infatti, fu sede del 383° btg./206° divisione costiera e il 10 luglio del ’43 il suo territorio fu area di sbarco di contingenti della VII armata americana.

Nel dopoguerra ed in particolar modo negli anni Settanta-Novanta, il paese ha conosciuto un notevole rinnovamento e avanzamento. Gli abitanti, che erano 7125 nel 1951, sono scesi a 6290 nel ’71 in conseguenza di una rilevante emigrazione, per elevarsi nuovamente a 7060 nel ’81, a 7445 nel ’91, a 8400 nel ’96. L’istruzione pubblica si è notevolmente estesa con la crescita delle strutture scolastiche primarie e l’avvento delle secondarie, sicchè l’analfabetismo e sceso al 3,6%.
La vita politica, discretamente vivace per la dialettica dei partiti e dei sindacati, si è sempre più omologata al dinamismo nazionale. Il panorama religioso è divenuto più articolato, e S. Giuseppe, già protettore, è stato elevato co-patrono del paese. Più recentemente l’abitato ha compreso nuove aree a Margio Secco, Marchesa, Pezza, Sottano; la rete stradale interna ed esterna e stata notevolmente ampliata e migliorata; gli antichi insediamenti rivieraschi di Casuzze, Caucana, Punta Secca e Punta Braccetto si sono trasformati in frazioni balnenri capaci di fortissimo richiamo.

I servizi pubblici nel campo dell’igiene e della sanità hanno subito interventi di ampliamento e modernizzazione notevoli, acquistando maggiore valenza sociale. In un territorio or mai completamente bonificato, grandi progressi sono stati compiuti sul piano economico, per merito soprattutto delle colture primicole in serra, subentrate alle antiche colture cerealicole e vitivinicole e oggi tra le più vivaci e avanzate della provincia.

 fonte © Comune di Santacroce Camerina tutti i diritti riservati

 
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